Tanti anni fa, quando i transistor, i mosfet e quant’altro non esistevano, la conoscenza e la capacità di progettare e costruire amplificatori a valvole aveva raggiunto vette eccezionali, soprattutto da parte di grandi aziende come Philips e Grundig ad esempio (ma ci metterei anche Marantz e McIntosh, naturalmente), tali che per un piccolo costruttore odierno sono ben difficili da raggiungere o superare.
Anche perché la disponibilità della componentistica adatta è molto minore e quindi operare scelte oculate è diventato molto più difficile.
In ogni caso, il fatto che la risposta in frequenza consegnata da un amplificatore ad una cassa acustica dipende dalla impedenza d’uscita dello stesso amplificatore e dall’impedenza della cassa è fuor di dubbio.
Come anche che più tale caratteristica dell’amplificatore aumenta di valore più le alterazioni della risposta crescono.
E, per finire, anche il fatto che la maggior parte degli amplificatori a valvole “moderni”, contrariamente agli stato solido, abbiano una impedenza d’uscita piuttosto alta (per non parlare degli OTL) non è discutibile.
Se a ciò aggiungiamo che in ambienti domestici non particolarmente piccoli, con casse di sensibilità media e registrazioni ad altissima dinamica (con fattore di cresta pari ad esempio a 25 dB), per poter ascoltare a livelli “Live” non è impossibile trovarsi nella necessità di dover usufruire di potenze superiori ai 500 watt, la maggior parte degli ampli a valvole hi-fi sarebbe tagliata fuori a priori.
Anche tenendo conto di un fattore 2 (3 dB) di incremento fittizio della potenza disponibile con un ampli a valvole per tener conto del più sopportabile modo di clippare e della autolimitazione della corrente erogata dipendente dalla maggiore impedenza d’uscita rispetto ad un buon ampli a stato solido, la potenza “a valvole” da installare raggiungerebbe comunque almeno i 250 watt RMS!
Molti audiofili, non essendo al corrente o non volendo prendere atto di queste problematiche tecniche, spesso pensano che una potenza di 20-40-80 watt sia ancora oggi più che sufficiente nella maggior parte dei casi.
Come lo era quando il fattore di cresta delle registrazioni commerciali era di 15 dB
Ma oggi la situazione è alquanto differente.
E usando ampli a stato solido di quella potenza richiedendo loro una potenza più alta, si ottiene di sentirne facilmente il raggiungimento dei limiti di erogazione di corrente, con eventuale intervento perfino delle protezioni…
Con un amplificatore a valvole caratterizzato da una impedenza d’uscita alta (basso fattore di smorzamento) si attua invece una limitazione automatica della massima corrente richiesta agli stadi finali (le valvole) dell’amplificatore e quindi il “clipping di corrente” non avviene.
Avvengono peraltro sia una forte compressione della dinamica che una altrettanto forte alterazione della risposta in frequenza (vedi anche l’articolo Mito e realtà dei cavi di collegamento nei sistemi hi-fi).
Mentre per quanto riguarda la prima pare che per molti si tratti di cosa poco avvertibile, la seconda viene spesso utilizzata (sbagliando) per attribuire agli amplificatori caratteristiche timbriche tali da poterli selezionare e consigliare come se fossero in grado di curare eventuali problemi timbrici dei vari impianti, dipendenti essenzialmente dai diffusori e dalla loro interazione con l’ambiente.