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Mito e realtà dei cavi di collegamento nei sistemi hi-fi

Di Renato Giussani e Enzo Messina

Negli anni 2000, fra gli appassionati, si continua ancora a discutere su quali siano i cavi più adatti a collegare i propri apparecchi hi-fi.
Dando naturalmente per scontato che i cavi stessi possano essere in grado, per loro natura, di operare equalizzazioni del segnale paragonabili a quelle dei controlli di tono presenti sugli amplificatori di lontana e ormai quasi mitica memoria.
Uno degli argomenti più gettonati è il cercare di stabilire, attraverso una semplice prova di ascolto, se questo o quel cavo sia più o meno adatto a garantire che il suono globalmente fornito dall’intero sistema (comprendente anche l’ambiente dove sono installati i diffusori) sia il migliore possibile.

È facile prendere atto che, fin dalle prime battute di una discussione di questo tipo, la prima cosa che si dovrebbe fare è accordarsi su cosa si intenda con la parola “migliore”.
Anche perché non si può mai prescindere dal fatto che ogni audiofilo ha un suo riferimento ideale al quale non vorrebbe mai rinunciare (e che peraltro non è quasi mai corrispondente al suono reale “dal vivo”).
Spesso si leggono in rete discussioni infinite fra chi (in ottemperanza alla regola base dell’alta fedeltà, che vorrebbe appunto che il segnale acustico ottenuto alla fine di tutto il processo sia il più fedele possibile all’originale che è stato registrato) sostiene la inaccettabilità di chi preferisce la ricerca della cosiddetta My-Fi (ovvero di un risultato d’ascolto gradevole e gratificante soltanto per la singola persona che ha investito tempo e denaro per ottenerlo) e chi invece, basandosi anche sulle sue esperienze d’ascolto dal vivo, ritiene preferibile decidere attribuendo il maggior peso alle sue percezioni personali.
E tutto ciò senza tener conto di un fatto inoppugnabile: il campo acustico ricreato da un sistema stereofonico, per quanto evoluto possa essere, presenta differenze sistemiche tali, rispetto a quello percepibile dal vivo, da rendere praticamente impossibile un confronto diretto fra tutti i parametri fisici caratterizzanti le due situazioni.

Da un punto di vista squisitamente tecnico, per un confronto live vs/ recorded, rimane peraltro disponibile l’esame di alcuni parametri fisici sicuramente molto importanti al fine della nascita di percezioni simili relativamente alle due situazioni.
Tra questi vi sono senza dubbio lo spettro acustico globale nella posizione d’ascolto e la dinamica espressa fra i pianissimo udibili ed i fortissimo riproducibili caratteristici del programma che viene ascoltato.
Altri parametri che possono assumere di volta in volta, in dipendenza del livello qualitativo dell’impianto considerato, una importanza più o meno rilevante, sono le distorsioni non lineari e la risposta nel tempo (essendo quest’ultima, fra le due, sicuramente la più importante).
Ai fini di una semplificazione della nostra esposizione, converrà circoscrivere subito gli argomenti che stiamo andando a presentare escludendo a priori qualsiasi aspetto relativo ai cavi che (daremo per scontato) non possa avere una qualsivoglia influenza sull’ascolto finale.
E in particolare mi sto riferendo proprio alle ultime due voci elencate, che ogni persona dotata di un minimo di conoscenza su come funzionano realmente i segnali elettrici può considerare assolutamente non influenzabili da qualsiasi cavo per uso audio domestico che non interponga sul percorso del segnale strati di ossido metallico.

Concentreremo dunque la nostra attenzione su quell’unico aspetto che consideriamo influenzabile in modo udibile dalla presenza di un cavo (pur se nuovo e in ottime condizioni) connesso fra le prese d’uscita analogiche di un dispositivo hi-fi e quelle d’ingresso del successivo: le variazioni dello spettro di frequenze del nostro segnale audio. Variazioni che, d’ora in poi, chiameremo più semplicemente “risposta in frequenza”.

I Cavi di Segnale

Dato che le variazioni della risposta in frequenza attribuibili ai cavi di collegamento possono intervenire sia a livello di potenza (fra ampli e diffusori) che a livello di segnale (ad esempio a causa delle caratteristiche del cavo, oltre che dall’impedenza d’uscita di un preamplificatore e da quella d’ingresso di un amplificatore finale, da esso collegati), la prima cosa che ci preme sottolineare è che l’unica variazione che potremo attenderci in caso di interfacciamenti sbagliati, è una limitazione della estensione della risposta stessa al suo estremo superiore.

Peraltro, cavi di segnale sbilanciati, che raccolgano interferenze a radio frequenza o che colleghino apparecchi i cui telai non siano allo stesso potenziale rispetto alla terra, possono comunque essere causa di disturbi di vario genere (dipendenti anche dalla qualità delle elettroniche collegate) in grado fra l’altro di alterare la risposta in frequenza percepita. Ma trattandosi di una casistica molto varia, difficilmente classificabile e del tutto patologica, nella presente trattazione non verrà assolutamente affrontata.

Nello schema Ru rappresenta la resistenza d’uscita della sorgente, Cc la capacità totale del cavo, Ri e Ci la resistenza e la capacità d’ingresso del secondo apparecchio collegato. E’ stata volutamente trascurata la resistenza del cavo Rc, ininfluente ai fini della simulazione.

FIGURA 1

Torniamo dunque al caso di una sorgente di segnale che piloti un secondo apparecchio attraverso un cavo cosiddetto di segnale. Per analizzare la alterazione della risposta in frequenza del sistema introdotta da un simile collegamento (spesso realizzato mediante cavo coassiale), abbiamo predisposto un foglio Excel in grado di effettuare per noi tutti i calcoli relativi alle grandezze complesse coinvolte.
Lo schema del modello che abbiamo impiegato per definire le equazioni da risolvere nel caso dei cavi di segnale è riportato in FIGURA 1.
Il foglio può essere scaricato all’indirizzo:
Risp_Pre-Finale.xls.

Gli esempi che seguono sono soltanto alcuni, scelti fra i più tipici, relativi a situazioni che si potrebbero presentare nei vostri impianti.

Risposta in frequenza ai connettori d’ingresso di un amplificatore finale caratterizzato da una resistenza di ingresso Ri=10 kohm ed una capacità di ingresso  Ci= 470 pF (valore superiore alla media), collegato a diverse sorgenti con un cavo di diverse lunghezze (L1, L2, L3) e caratterizzato da una capacità Cc=100 pF/m.

FIGURA 2

In FIGURA 2 sono presentate due situazioni di collegamento:
- Interfacciamento 1 (curve ciano, verde e blu) che prevede una sorgente avente una resistenza di uscita RU=1.000 ohm (come ad esempio un pre a valvole o un generico CD Player) e un cavo avente tre diverse lunghezze pari a 1 m, 5 m, 10 m.
- Interfacciamento 2 (curva rossa) che prevede una sorgente avente una resistenza di uscita RU=200 ohm (come un pre a stato solido o un buon DAC USB di ultima generazione) e un cavo lungo 10 m.

Entrambi gli interfacciamenti (il primo più problematico, il secondo caratterizzato da parametri migliori) mostrano una alterazione della risposta in frequenza più o meno marcata in prossimità della parte alta della banda di frequenze presa in analisi.
Il rapporto fra le impedenze connesse e la presenza del cavo provocano innanzitutto una attenuazione costante su tutta la banda audio ed oltre, alla quale viene a sommarsi un andamento passa-basso che non supera comunque i -0,1 dB a 20 kHz.
Da questi risultati possiamo dedurre che nessun cavo di segnale sbilanciato impiegato in un impianto hi-fi domestico è in grado di introdurre variazioni timbriche udibili di alcun tipo, quali che siano gli apparecchi che vengono collegati e quale che sia la lunghezza del cavo stesso, almeno fino al limite dei 10 metri.

A questo punto rimarrebbero da spiegare le percezioni d’ascolto, spesso sicuramente differenti fra un cavo e l’altro, che vengono correttamente riportate da molti appassionati.
Nel difficile tentativo di evitare sicure incomprensioni, copio e incollo un brano molto significativo direttamente da Wikipedia (chi vuole intendere intenda. Degli altri “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”):

“…La percezione è il processo psichico che opera la sintesi dei dati sensoriali in forme dotate di significato. Gli assunti allo studio della percezione variano a seconda delle teorie e dei momenti storici.
È possibile operare una prima distinzione tra la sensazione legata agli effetti immediati ed elementari del contatto dei recettori sensoriali con i segnali provenienti dall’esterno e in grado di suscitare una risposta e la percezione che corrisponde all’organizzazione dei dati sensoriali in un’esperienza complessa ovvero al prodotto finale di un processo di elaborazione dell’informazione sensoriale da parte dell’intero organismo.
Le principali discipline che si sono occupate di percezione sono la psicologia, la medicina e la filosofia…”

Traduzione: Ciò che noi crediamo di “sentire” è il risultato di una elaborazione mentale che presenta al nostro io cosciente sotto forma di percezione e che avviene utilizzando una lunga serie di stimoli provenienti da tutti i sensi nonché un magazzino di dati contenuti nella nostra memoria e dipendenti dalle nostre esperienze precedenti.

Quando indaghiamo una differenza acustica fra due situazioni, la percezione che proviamo non è quindi per forza di cose perfettamente corrispondente alla realtà fisica esterna a noi, ma è tanto più illusoria (in quanto costruita a posteriori sugli unici dati differenza disponibili, ovvero dati non acustici) quanto più piccola è la differenza reale (al limite nulla).

A conferma di quanto appena descritto, pubblichiamo un link dove potrete trovare (sia pure in inglese) i risultati di un esperimento assai illuminante sull’argomento appena esposto:

10fas3.pdf

In questo esperimento sono state confrontate le percezioni di eventuali differenze di volume riportate da gruppi di persone provenienti da diversi paesi che ascoltavano il suono del passaggio di treni aventi diverso colore (ovviamente il treno era sempre lo stesso, colorato in modo diverso al computer…).
Il risultato è stato che gli ascoltatori americani hanno dichiarato di sentire un suono più forte di circa il 15% rispetto a quello del treno verde quando a questi veniva proiettato il treno rosso. Gli ascoltatori del gruppo giapponese invece hanno sentito il suono del treno rosso più forte addirittura del 25%.
Dato che una differenza del 100% (cioè un raddoppio) equivale a circa 10 dB, il 20% dovrebbe corrispondere a circa 2 dB. Non poco, considerato che il suono del treno non cambiava affatto…

Appurato quindi scientificamente, al di sopra di ogni ragionevole dubbio, che la preoccupazione per il suono dei cavi di segnale in condizioni di funzionamento normali non ha ragion d’essere, siamo dunque sicuri che qualsiasi cavo che andremo ad utilizzare fornirà sempre e comunque i risultati migliori possibili?

No.

Due elementi attribuibili ai cavi di segnale (ma non solo) in grado di degradare sensibilmente il segnale trasferito da una sorgente ad un finale (o fra qualsiasi altre tipologie di apparecchi del nostro sistema) non solo esistono, ma possono essere tanto deleteri quanto difficilmente determinabili. E si tratta della eventuale ossidazione delle connessioni e della insufficiente schermatura dai segnali a radiofrequenza.

A) L’ossidazione, origine di degradi di ogni tipo, può riguardare sia i terminali del nostro cavo che, ancora più spesso, le prese di uscita e di ingresso presenti sui pannelli dei nostri apparecchi. E si risolve, quasi sempre abbastanza facilmente, con l’uso di opportuni liquidi disossidanti per contatti elettrici.

B) I segnali a radiofrequenza, eventualmente presenti nel nostro ambiente, possono invece insinuarsi attraverso i cavi (sia di segnale che di altra tipologia, cavi di potenza compresi) fino ad ambiti dei nostri apparecchi che non ne siano sufficientemente protetti e in taluni casi possono alterarne il funzionamento in modo più o meno facilmente udibile. E la soluzione di tali problemi non sempre è risolvibile con l’impiego di cavi dotati di una migliore schermatura, bensì a volte può richiedere addirittura la sostituzione dell’apparecchio che da questo punto di vista costituisce l’anello debole della nostra catena.

I Cavi di Potenza

Nello schema Zu rappresenta l’impedenza d’uscita del finale, Rc, Lc e Cc la resistenza, l’induttanza e la capacità totali del cavo, Zap l’impedenza complessa del diffusore.

FIGURA 3

Omettendo di addentrarci nella lunga e complessa descrizione dei fenomeni riguardanti il malfunzionamento di connessioni ossidate o di apparecchi non resi adeguatamente insensibili alla radiofrequenza, terminiamo dunque la disamina dei cavi di segnale per passare senza indugi a quella dei “cavi di potenza”. Ovvero quelli che vengono normalmente impiegati per connettere i morsetti di uscita del nostro amplificatore ai morsetti di ingresso dei nostri diffusori.

Lo schema del modello che abbiamo impiegato per definire le equazioni da risolvere nel caso dei cavi di potenza è riportato in FIGURA 3.

Per prima cosa, dobbiamo sottolineare che le variazioni che intervengono a causa della presenza del cavo di collegamento, che abbiamo già deciso di chiamare più semplicemente “risposta in frequenza”, non sono una proprietà intrinseca del cavo, ossia di una proprietà che si presenta sempre e comunque uguale a se stessa qualsiasi siano l’amplificatore e il diffusore che vengano interfacciati.
In particolare, la risposta in frequenza che andremo a valutare è quella misurabile ai morsetti di ingresso del diffusore, che dimostreremo essere dipendente in forte misura dalla impedenza d’uscita dell’amplificatore e in seconda battuta dalla presenza dei cavi, ma che dipenderà sempre e comunque dall’impedenza complessa del diffusore impiegato. Ovvero: un dato amplificatore e una data coppia di cavi presenteranno ai morsetti del diffusore ad essi collegato una risposta in frequenza variabile a seconda delle caratteristiche del diffusore preso in esame.

Per i meno esperti chiariremo anche che tale risposta in frequenza, che nel caso si cerchi di predisporre un sistema realmente Hi-Fi dovrebbe essere rappresentata (idealmente) da una retta orizzontale, va sempre a sovrapporsi a quella del diffusore stesso.
Se ad esempio (caso teorico mai verificato) il nostro diffusore (collegato direttamente ad un generatore di tensione ideale) fosse dotato di una risposta in frequenza perfettamente piatta, dopo essere stato collegato al nostro ampli tramite i nostri cavi vedrà la sua risposta in frequenza assumere esattamente l’andamento di quella consegnata ai suoi morsetti d’ingresso.

Dato che nessun sistema di altoparlanti è dotato di una risposta in frequenza piatta, nemmeno ove fosse pilotato da un generatore ideale di tensione (ovvero un amplificatore caratterizzato da una impedenza d’uscita ZU=0, cui corrisponderebbe un Damping Factor infinito), nonché collegato a cavi ideali (Rc e Lc entrambe =0), il risultato dell’impiego di un amplificatore con un D.F. non sufficientemente elevato e dell’interposizione di cavi reali farà variare la sua risposta in frequenza, qualunque essa sia, sovrapponendole un andamento che può essere previsto (con opportuni calcoli) con la massima precisione.
Tale andamento deriva dall’interazione elettrica fra la rete costituita dall’impedenza d’uscita dell’amplificatore, la resistenza, l’induttanza e la capacità dei cavi e l’impedenza complessa del diffusore collegato.

Elenco amplificatori provati da Audio Review sui fascicoli dal 325 al 340 e relativi fattori di smorzamento.

FIGURA 4

Le formule che consentono tali calcoli risultano abbastanza lunghe e complicate, per cui gli autori hanno deciso di implementarle in un foglio Excel di facile impiego, scaricabile al seguente link:

Ampli-cavi-casse.zip

L’archivio zip che otterrete contiene sia il foglio di calcolo vero e proprio sia il carattere “Niagara Engraved”, necessario per visualizzare senza problemi i dati inseriti, che deve essere installato sul vostro PC.

Per poter effettuare i calcoli previsti, il foglio deve essere rifornito con tutti i dati necessari del caso che, come già visto, sono:

- Il D.F. dell’amplificatore (possibilmente in funzione della frequenza).
- La resistenza per metro Rc dei cavi.
- La induttanza per metro Lc dei cavi.
- La capacità per metro Cc dei cavi.
- La lunghezza dei cavi di potenza.
- Il modulo e l’argomento dell’impedenza complessa del diffusore collegato.

Queste informazioni sono ricavabili sia dalle schede dati dichiarati dai costruttori coinvolti sia dalle prove effettuate su Audio Review.
Eccovi ad esempio in FIGURA 4 una tabella che riporta il fattore di smorzamento di numerosi amplificatori provati da questa rivista.

Valori di resistenza, induttanza e capacità di una serie di cavi speciali per il collegamento di diffusori acustici, dichiarati dai rispettivi produttori. I dati relativi alla piattina unita da 1,5 mmq e 0,75 mmq nonché quelli dei cavi Supra Classic 4.0 sono stati invece misurati.

FIGURA 5

Ed ecco invece in FIGURA 5 un elenco di dati relativi a cavi di potenza, progettati espressamente per il collegamento di diffusori acustici ad alta fedeltà.
Al seguente link:

Impedenza_Diffusori_AR.pdf

potrete scaricare un file pdf contenente i dati di impedenza di numerosi diffusori, già organizzati in modo da poter essere facilmente inseriti (manualmente) nel foglio Excel citato precedentemente.

Andamento della risposta in frequenza rilevabile ai morsetti di ingresso di un diffusore acustico ESB 7/06 pilotato da un amplificatore pressoché ideale (D.F. = 5000) attraverso i cavi indicati.

FIGURA 6

Andamento della risposta in frequenza rilevabile ai morsetti di ingresso di un diffusore acustico ESB 7/06 pilotato da un amplificatore Bryston B135 SST2 attraverso i cavi indicati.

FIGURA 7

Andamento della risposta in frequenza rilevabile ai morsetti di ingresso di un diffusore acustico ESB 7/06 pilotato da un amplificatore Almarro A318B attraverso i cavi indicati.

FIGURA 8

Andamento della risposta in frequenza rilevabile ai morsetti di ingresso di un diffusore acustico ESB 7/06 pilotato da un amplificatore Pioneer A70 attraverso i cavi indicati.

FIGURA 9

E per finire, ecco alcuni esempi dei risultati che potrete trarre dal suddetto foglio di calcolo.
Vista la scala molto espansa, il nostro suggerimento è di considerare udibile soltanto quelle alterazioni della risposta che si allontanino di più di +0,1 dB dal loro andamento medio.

Come potete facilmente rilevare, l’influenza percentuale delle caratteristiche dei cavi di collegamento sulle variazioni complessive della risposta in frequenza trasferita al diffusore acustico pilotato (causate dalla somma della R interna dell’ampli e della R dei cavi), diminuisce via via proporzionalmente al diminuire del Damping Factor (Fattore di Smorzamento) dell’amplificatore finale utilizzato.

La frase che avete appena letto significa che, se ipotrizziamo di impiegare un amplificatore dal damping factor via via sempre più basso, il responsabile delle alterazioni complessive della risposta sul carico sarà in massima parte l’amplificatore e le caratteristiche del cavo diventeranno via via sempre meno importanti.

Tenete sempre presente che i grafici pubblicati hanno una scala delle ordinate (dB) piuttosto espansa. Il che non vuol dire che le variazioni introdotte, dipendenti sia dalle caratteristiche del finale che da quelle dei cavi nonché dall’impedenza del diffusore collegato, non siano udibili.
Ricordiamo infatti che in numerose verifiche sperimentali si è potuta appurare l’udibilità di variazioni molto piccole, al limite dei +0,1 dB.
Ma variazioni di tale ordine di grandezza non possono comunque essere ritenute responsabili di alterazioni davvero sensibili della qualità globale percepita, che in ogni caso sottostà (anche per i cavi di potenza) alla stessa importantissima fenomenologia psicoacustica già descritta per il caso dei cavi di segnale.

Gli appassionati che vogliano peraltro avvicinarsi il più possibile alla condizione ideale prevista dalle regole della vera Hi-Fi dovrebbero comunque cercare di impiegare amplificatori dotati di un fattore di smorzamento adeguatamente elevato (ad esempio >=40, escludendo quindi a priori praticamente tutti i valvolari) nonché cavi di potenza caratterizzati dalla minore resistenza e minore induttanza possibili.

Concludiamo dicendo che, se siamo alla ricerca del nostro personale piacere d’ascolto (la cosiddetta My-Fi già citata all’inizio di questo articolo), anche gli effetti psicoacustici e le piccolissime alterazioni della risposta in frequenza possono fare la differenza. Purché i componenti che vengono abbinati (Sorgenti, Pre, Cavi di Segnale, Finale, Cavi di potenza e Diffusori) siano stati ascoltati tutti collegati fra loro nello stesso impianto e nel medesimo ambiente, ciascuno di noi è ovviamente libero di effettuare le sue scelte anche esclusivamente in base all’ascolto.