(Audio Review n.100 – anno 1992)
Le genti di lingua inglese la “cassa acustica” la chiamano “speaker”, mentre, quello che noi italiani chiamiamo “altoparlante”, loro lo chiamano “speaker unit”. Dato che, su tutti i vocabolari, quale traduzione letterale di “speaker” è stata sempre proposta la parola “altoparlante”, ecco nascere il pasticcio che ha costretto noi italiani ad inventare le definizioni più disparate e fantasiose per tradurre in modo semplice ed acconcio l’inglese “speaker system”.
Quando nel 1972, agli inizi della mia avventura professionale in quel dell’hi-fi (quella hobbistica era iniziata nel 1965!), mi trovai a discutere con i miei compagni di allora su come risolvere il problema, credemmo di trovare la migliore soluzione proponendo di usare la parola “diffusore acustico”. Il significato del termine voleva essere quello di un sistema costituito da diversi altoparlanti, un filtro e un mobile più o meno specializzato, il tutto atto a “diffondere” (nel senso più comune del termine) il suono nell’ambiente d’ascolto.
Successivamente alla nascita di AUDIOreview, il nuovo gruppo di lavoro individuò nel termine “diffusore” (divenuto frattanto di uso generale) una imprecisione tecnica derivante dal fatto che il fenomeno della “diffusione”, almeno nell’ambito della propagazione delle onde acustiche, non si identifica con il significato originario considerato nella prima scelta del termine “diffusore acustico”, ovvero “emissione del suono su un ampio angolo solido” al fine di sonorizzare un ambiente.
Ecco allora nascere il termine attualmente più usato sulle pagine di AUDIOreview, libera traduzione della dizione inglese “loudspeaker system”, e che ad essa direttamente si ispira, ovvero “sistema di altoparlanti”.
Ora, direte voi, sarà poi così importante la storia di un termine, al punto di dedicargli uno spazio che può apparire inusitato in un articolo che dovrebbe fare il punto sulla evoluzione degli altoparlanti negli anni fra il 1982 ed il 1992?
Ma, signori miei, se in dieci anni noi giornalisti e tecnici specializzati non siamo neanche riusciti a metterci d’accordo su come debbano essere chiamati, questi benedetti altoparlanti e sistemi annessi, con quale faccia dovrei dare per scontata la attendibilità e la credibilità di una mia, sia pur sintetica, analisi generale?
In effetti, come in tutte le umane cose, anche nel settore del quale specificamente e da più tempo mi occupo, tutto è ampiamente relativo: a fronte di insanabili divergenze formali e di discorsi di parte, più o meno convinti e/o aggressivi, in difesa di questo o quel termine, questa o quella filosofia di emissione, questa o quella tecnologia, tutti i costruttori hanno lentamente teso ad uniformare le loro proposte commerciali ad alcuni principi base che hanno mostrato di avere una validità oggettiva al di sopra di tutte le parti.
Ed è proprio la lenta ma sicura evoluzione che ha coinvolto tali principi che vorrei molto brevemente illustrarvi.
Torniamo per un attimo a considerare la funzione base di un sistema di altoparlanti hi-fi, ovvero la trasduzione di un segnale audio elettrico in un appropriato segnale acustico. Tutti i sistemi anzidetti godono di alcune proprietà che derivano direttamente da quelle dei singoli altoparlanti che li compongono, oltre che di pregi e difetti dipendenti esclusivamente dalla configurazione prescelta per il loro funzionamento ed abbinamento.
La proprietà che, per prima, un altoparlante hi-fi deve essere in grado di offrire è quella di poter generare, nell’aria dell’ambiente prescelto, onde sonore aventi uno spettro di componenti il più simile possibile a quello del segnale elettrico che lo alimenta. Allo scopo, la prima qualità richiesta è che la membrana incaricata di vibrare nell’aria sia il più indeformabile possibile. Al tempo stesso la stessa membrana (cono o cupola che sia) non deve continuare a vibrare quando il segnale elettrico è finito.
Nei dieci anni presi in esame, abbiamo assistito, anzitutto, proprio ad una notevole evoluzione nel tipo di materiali e nelle tecniche di produzione adottati per la costruzione delle membrane vibranti. Le sostanze plastiche, originariamente introdotte fra lo scetticismo generale dalla inglese Kef, sono diventate di uso comune, riuscendo in molti casi a garantire sia una ottima riproducibilità delle caratteristiche della membrana, anche per produzioni in grande serie, che caratteristiche di rigidità e smorzamento ottimali ove siano richieste le massime prestazioni. I materiali plastici non sono peraltro entrati stabilmente in ambito professionale, dove le alte potenze in gioco richiedono resistenze fuori del comune, anche perché i quantitativi di produzione di questo settore sono molto ridotti e tali da non giustificare la messa a punto di sostanze e metodi di produzione più adatti, generalmente, alla produzione di massa. Più adatto invece all’impiego sia nell’ambito professionale (dove è in effetti nato) che in quello hi-fi è il titanio, che si è diffuso a macchia d’olio fra i tweeter più impegnati e moderni.
La nascita e la diffusione del Compact Disc hanno poi reso ancora più attuale l’eterno problema dei limiti dinamici degli altoparlanti, dai quali dipende abbastanza direttamente, vuoi o non vuoi, il loro costo. Le sostanze plastiche si sono quindi trovate a dover garantire una evoluzione delle membrane ancora più rapida del previsto, con continui contemporanei aumenti delle richieste sia di qualità che di dinamica. Nulla di meglio di questo scenario per stimolare la ricerca di un adatto metodo di valutazione tecnica oggettiva della dinamica degli altoparlanti, entro determinati limiti qualitativi di funzionamento.
Diversi ricercatori, in Italia e all’estero, iniziarono ad effettuare sperimentalmente misure in base alle quali poter ricavare una indicazione univoca sul massimo livello acustico riproducibile da un altoparlante, in funzione della frequenza. Nel 1984, il gruppo di lavoro di Audio Review decise di adottare una metodologia abbastanza complessa, basata sull’uso di un sistema di misura computerizzato (di progettazione e realizzazione in parte esclusiva), tale da poter misurare il massimo livello acustico di uscita (MOL= Maximum Output Level) di un altoparlante (o un sistema di altoparlanti) sollecitato da due segnali sinusoidali contemporanei, entro un limite massimo di distorsione di intermodulazione totale del 5%. Questa misura, che contemporaneamente fornisce anche il valore della potenza massima applicabile o MIL (Maximum Input Level), è quindi entrata stabilmente a far parte del set delle misure effettuate su ciascuna cassa in prova.
Un altro campo nel quale più o meno tutti i produttori si sono trovati ad evolvere, abbastanza uniformemente, nella stessa direzione, è quello delle caratteristiche di carico degli altoparlanti chiamati a riprodurre le basse frequenze: i “woofer”. Da un uso pressoché generalizzato del semplice e funzionale sistema di carico in cassa chiusa (chiamato per molti anni, per gli stessi identici motivi visti per il termine diffusore, “sospensione pneumatica”) la maggioranza dei produttori si è via via orientata sempre di più verso i sistemi accordati, in principio solo “reflex” ed anche, sempre più spesso, in “carico simmetrico”.
La espansione dell’impiego dei sistemi accordati nasce, come sempre avviene, dal tentativo di aumentare le prestazioni dei sistemi senza doverne ritoccare eccessivamente il prezzo di vendita. Se questo fenomeno si è sviluppato, in termini percentuali rilevanti, abbastanza di recente, è perché solo da poco si sono diffuse a sufficienza le conoscenze tecniche ed i mezzi di calcolo che, per non incorrere in brutte sorprese, devono essere necessariamente poste alla base di un buon progetto accordato. In effetti, la diffidenza che per molti anni ha tenuto lontani gli appassionati più esperti dalle proposte commerciali di sistemi reflex, anche di ottimi costruttori, era causata dal gran numero di progetti sbagliati che inquinavano il mercato, sia italiano che internazionale.
Lasciamo alfine il campo dei semplici trasduttori per addentrarci in quello dei sistemi e delle loro caratteristiche di installazione. Qui, dopo un predominio abbastanza generalizzato delle casse “mini” studiate per una installazione free-standing, ovvero su adatti supporti ben lontano dalle pareti, siamo fortunatamente tornati ad un maggiore buon senso.
Le tradizionali definizioni di sistemi “bookshelf” (da libreria) e “floor-standing” (da pavimento) è tornata a poter essere impiegata per la maggioranza dei sistemi proposti. In quest’ambito hanno iniziato a distinguersi un certo numero di produttori che hanno dato avvio ad un nuovo sottoinsieme che comprende i sistemi studiati per fornire una prospettiva sonora più corretta di quanto non consentito dai sistemi convenzionali. Fra questi non si possono tacere né il precursore prof. Amar Bose e le sue ormai mitiche 901 né Matthew Polk e la sua serie SDA, né (concedetemelo…) il sottoscritto e la serie “7″ ESB sviluppata fra l’80 e l’85.
Per finire, ma solo perché lo spazio tiranno non mi consente di più, un accenno alla maggiore attenzione che è stata posta via via da tutti i produttori alle caratteristiche di collegamento.
Questa attenzione, insieme peraltro a molti altri aspetti della progettazione, è una delle numerose eredità positive lasciateci dal lungo periodo di crisi del mercato dell’hi-fi dei primissimi anni ’80, nel quale proliferarono i cosiddetti costruttori “esoterici”. Specie di “grilli saggi” dell’alta fedeltà seppero trarre dalla crisi nella quale erano precipitati i grandi nomi, per lo più americani e giapponesi, gli insegnamenti per rilanciare lo spirito originario di ricerca degli estremi limiti, che si era perso nel corso degli anni.
Oggi, ormai conclusa la parabola di molti “esoterici” particolarmente approssimativi ed opportunisti, alcuni di quei nomi vivono ancora e continuano a proporre idee e soluzioni esemplari. Al tempo stesso le grandi industrie hanno fatto loro i suggerimenti più facilmente acquisibili e riproponibili ai più differenti livelli di prezzo.
Per quanto concerne i sistemi di altoparlanti, uno degli aspetti che sono sotto gli occhi di tutti e perciò più facilmente verificabile, è la maggiore attenzione riservata alla qualità dei connettori di ingresso, in moltissimi casi metallici e di solida struttura anche nei sistemi più a buon mercato.
Fra gli elementi qualificanti assurti a molta maggiore considerazione dei progettisti e degli uomini di marketing di tutte le case specializzate, posso ricordarvi anche i collegamenti interni, la lotta alle vibrazioni dei mobili e alla diffrazione ai bordi, la qualità dei supporti di appoggio, la possibilità di alimentazione bi-wiring, per finire con le più accurate metodologie di controllo di produzione ed il miglioramento dei servizi post-vendita.
Anche se questo è proprio l’aspetto che spero tenda ad un ulteriore necessario e rapido miglioramento, tale da poterlo considerare il più importante elemento dell’evoluzione che il settore vivrà nei prossimi dieci anni.
Appuntamento quindi, con una bella analisi da questo particolare punto d’osservazione del mercato dell’hi-fi…ai festeggiamenti per il numero 200 di AUDIOreview!